Il candidato alla segreteria Pd: «Astensionismo intermittente, gli elettori tornano se c’è un’offerta. Con il M5S e il Terzo polo marciamo insieme su salario minimo, autonomia e immigrazione»
L’articolo completo su “La Stampa” qui
«Giuseppe Conte dovrebbe riflettere bene ora e le opposizioni si siedano ad un tavolo per individuare tre temi su cui marciare uniti»: Gianni Cuperlo, oltre ad essere uno dei candidati alle primarie del Pd, è una delle teste pensanti del partito, per questo la sua analisi della debàcle parte dalle cause profonde che hanno generato questa enorme astensione, per indicare poi una via che faccia uscire dalle secche le forze di centrosinistra.
Intanto una premessa, Cuperlo: non pensa che abbiate avuto una reazione troppo consolatoria dopo questa sconfitta?
«La prima cosa da evitare è rimpallarsi le colpe. La tenuta del Pd è importante, ma il tema resta. Se vince la destra è perché errori sono stati compiuti da tutti. A noi tocca riconoscere i nostri e ricucire le fratture col mondo che dovremmo rappresentare».
Tutti gli analisti ritengono che l’astensione abbia punito di più il centrosinistra perché non è competitivo. Giusto?
«Penso che questo fattore abbia pesato meno, il fenomeno non è contingente. Abbiamo perso 32 anni dal 1948 all’80 per scendere sotto il 90 per cento di affluenza e altri 32 per scendere sotto il 50. La novità è che può essere un astensionismo intermittente, gli elettori possono tornare se trovano un’offerta che corrisponde ai loro bisogni. Credo che l’astensione abbia penalizzato tutti, certo più noi che abbiamo perso. Una democrazia con partiti fragili soffre, senza elettori muore. A disertare le urne è chi pensa che il voto non serva ai suoi bisogni, che si tratti del reddito, di una casa o del diritto a curarsi».
Ora 5stelle e terzo Polo dovrebbero capire che senza allearsi in una coalizione a livello nazionale non sono più attrattivi neanche loro e vanno a fondo?
«Beh, dovrebbero prendere atto che l’idea di cavalcare le difficoltà del Pd per presentarsi a un ipotetico tavolo dopo le eurpopee da una posizione di forza si è rivelata un’illusione dallo sguardo corto. Il Pd c’è e avrà una nuova leadership. E anche i 5stelle sono passati da tre esperienze di governo, il che ha cambiato la percezione che hanno di loro gli elettori. Quindi Conte dovrebbe riflettere e mi auguro che le opposizioni si siedano ad un tavolo individuando tre temi su cui marciare uniti, come salario minimo, autonomia e migranti. Temi che possono tradursi in un sentiero comune».
In che modo il Pd dovrebbe sciogliere il nodo alleanze?
«Su questo la penso come Romano Prodi, parliamo meno di alleanze e più del paese. Facciamolo con parole semplici a partire da salari inchiodati da 30 anni. Proporre una mensilità in più per i lavoratori dipendenti è offrire una scialuppa a milioni di famiglie. La copertura si trova con un prelievo maggiore sugli extra profitti e un contributo dei redditi più alti: rilanciando una riforma fiscale che non abbia tremore, chieda di più a chi ha di più e colpisca un’evasione immorale».
Pensa che Letta abbia sbagliato a mollare i grillini dopo la caduta di Draghi? Da lì nascono le sconfitte?
«È stato sopravvalutato il lutto per la caduta di quel governo. Detto ciò la verità è che, di fronte al cambio d’epoca più dirompente della storia umana, la sinistra ha proceduto a tentoni, illudendosi di entrare nel nuovo tempo con le stesse categorie del vecchio».
E invece che deve fare il Pd?
«Deve avere ambizione e coraggio per cambiare il suo modo di pensare. Da almeno trent’anni siamo malati di tatticismo, si improvvisano risposte per conflitti che avrebbero bisogno di uno scavo mai compiuto. Penso a come è stato svilito il valore sociale del lavoro con implicazioni culturali, antropologiche persino. La colpa è stata credere che per compensare quel vuoto di analisi bastasse prendere la residenza al governo nella convinzione che il consenso sarebbe derivato. Ma gestire il potere senza un pensiero porta solo allo smarrimento dell’autonomia della politica».
Lei con chi si schiera alle primarie?
«Fino a domenica, quando finiranno i congressi nei circoli, mi prendo la libertà di sostenere questo punto di vista perché lo ritengo necessario per il dopo. In queste settimane ho visto un partito vivo in tante realtà, ma altrove preda di signori delle tessere a controllare il territorio in uno spirito feudale. Questa roba va spazzata via chiunque vinca. Per farlo non si doveva fare di un congresso una sfida maggioritaria. Ecco il senso del voto utile che mi sento di chiedere. Poi decideremo assieme».
Come risalire la china?
«La domanda la rivolgo io a chi andrà alle primarie: cosa pensate della necessità di non separare più la cultura dalla politica, il pensiero dall’azione, le coerenze dalle scelte che si fanno? Perché sarà su questo che recupereremo autorevolezza, non sugli arruolamenti dietro l’uno o l’altra. La nostra non è una testimonianza, ma uno sguardo al futuro con spirito critico, mescolanza e autonomia. Oggi con le regole che abbiamo questo partito rischia di indebolirsi. Anche per questo era giusto esserci, anche come esempio di una politica dove si conta anche senza arrivare primi».