Molti termini preziosi, appartenendo a tutti, sono femminili: anche uguaglianza, comunità, Repubblica,
Costituzione, Italia.
BARBARA POLLASTRINI
Già parlamentare della Repubblica
Caro direttore,
il Capodanno è di una manciata di giorni fa.
Natale aspetta i magi con quell’Epifania “che tutte le feste se le porta via” e subito dopo la riapertura delle scuole con la corsa più bella nelle aule di ragazze e ragazzi. Poi chissà. Intanto qualcosa già conosciamo. Bollicine e doni non hanno abbracciato il mondo intero. C’era chi poteva brindare, cantare in piazza. Chi in piazza era a manifestare e poteva morirci.
Chi si è scambiato calore e chi doveva portare la croce. Quella dei carcerati, di malattie insopportabili, di umiliazioni. La croce di povertà e di devastazioni ambientali. La croce del freddo, del buio nell’ Ucraina aggredita e nei conflitti sparsi nel pianeta. La croce di guerra che, anche quando è una medaglia, racconta di dolore e della complessità della storia. La croce della mafia e della criminalità. Eppure, ogni resistenza, di popolo o personale, si aggrappa a uno spiraglio, la speranza. Lo allarga e ne fa contagio.
I dittatori odiano e reprimono chi porta in sé la speranza e il dominio maschile sulle donne vuole punire la libertà, che le è sorella. La speranza ha attraversato il discorso serale del 31 dicembre del presidente Mattarella e domenica mattina l’omelia di papa Francesco in San Pietro. Ne è uscita una trama in cui i nominati non erano un freddo elenco, ma un presepe vivente. Li vedevi i migranti, gli scienziati, le donne eroiche in Iran, le ribelli in Afghanistan, i dissidenti imprigionati in Russia. I giovani di ritorno in auto la sera coi rischi per sé e gli altri. Li ringraziavi i volontari, le associazioni di solidarietà, gli anziani con la loro saggezza. Un signore in scuro coi capelli bianchi ritmava: Repubblica, Costituzione. Ci diceva chi siamo e chi potremo essere se «. ..stiamo nel nostro tempo… se impariamo a leggere il presente con gli occhi di domani…». Un signore in bianco e semplicemente solenne invocava «l’andare senza indugi se una cosa è importante»… «alzarsi, rischiare per fare del bene… i primi pastori erano persone umili e forse rudi, non i sapienti e i potenti, ma i semplici». Suonava autentico ascoltarli sulla «carestia di pace…» o «sul rifiuto di una visione che fa tornare indietro la storia, di un oscurantismo fuori dal tempo e dalla ragione». Paolo VI volle il primo dell’anno come Giornata mondiale della pace. Poi arrivarono gli accordi di Helsinki del 1975. Da allora interessi, fondamentalismi e autocrazie hanno rialzato la testa. E i diritti umani sono stati offesi anche da un capitalismo selvaggio e predatorio.
L’arma atomica è rientrata nel linguaggio. Dunque nulla è dato per sempre, senza che Repubblica, Costituzione, Bene comune e dialogo interreligioso vivano di cuori, intelligenze e lotte. Questa è la democrazia, fragile come ogni persona e straordinaria come la vita legata a una immaginazione del dopo per credenti e no. E mi dico che ci sarà un motivo o una magia se molte parole preziose, appartenendo a tutti, sono femminili: pace, democrazia, uguaglianza, comunità. E così Repubblica, Costituzione, Italia e l’Europa che ritrovi passione per una “Helsinki due”.
Ho letto l’alfabeto di idee e principi di “Avvenire” per questo nuovo anno, a conferma di quanto il linguaggio sia una scelta che racconta di civiltà e umanità. Chi si impegna nello spazio politico, nel mio caso il Pd e la sinistra, ha davanti a sé la prova di ricucire il filo tra parole, segni e coerenze. Avvicinarci alla terra promessa richiede rovi, fatica e un po’di amore. Richiede di volerla la promessa e l’umiltà di praticarla con qualche severità su di sé. Non ho certezze, ma voglio crederci, la speranza verso la dignità non ha confini e l’incontro con altre e altri rende possibile il cammino.