I nodi da affrontare «Cuperlo sa che i diritti civili sono essenziali, ma che fondamentali sono i diritti sociali. Il nostro problema principale oggi sono le diseguaglianze, la perdila di centralità del lavoro, la crisi della scuola e dell’Università che non si risolve certo con l’apologia del merito»
Professor Ciliberto, cosa c’è di “nuovo” nel dibattito “costituente” del Partito democratico?
Quello che si manifesta sa molto di vecchie ritualità che niente hanno a che vedere con l’invocato rinnovamento — rifondazione. Sì, è un vecchio rito ormai, che in altri momenti può essere stato utile per cercare di ristabilire rapporti che apparivano consunti fra governanti e governati. Un problema generale che riguardava la democrazia rappresentativa già allora in una crisi organica in Italia e in Europa, crisi da cui non si è ancora usciti e di cui è un frutto anche la vittoria delle destre nelle ultime elezioni. Per comprendere le ragioni primarie di questa vittoria occorre mettersi a questa altezza. Nel Pd, tranne qualche eccezione, non si sono mai posti sul serio il problema, se non appunto ricorrendo alle primarie, che ovviamente non erano e non sono in grado di contenere una crisi di così vasta portata. E questo dipende anche dalla miseria culturale del gruppo dirigente del Pd in questi anni. Mi è piaciuta la definizione che ne ha dato recentemente Aldo Tortorella parlando di un personaggio notevole come Filippo Maone: sono afflitti da un “narcisismo penoso”, che ha contribuito, per la sua parte, a portarci alla disfatta; sono dirigenti che non hanno mai fatto i conti con la realtà. Una miseria culturale e quindi politica.
Certo questo non riguarda solo il Pd. È un fatto: i dirigenti dello schieramento riformatore italiano invece di allearsi hanno consegnato il paese alla destra. Un caso, come hanno osservato Cacciali e Ferrara che sarà studiato a scuola come esempio di demenza politica. Del resto, come dice il detto, Dio fa impazzire chi vuol perdere. E non hanno imparato niente: ora stanno consegnando il Lazio alla destra, non hanno imparato, per citare un altro detto, che perseverare è diabolico. Bisognerebbe prima o poi interrogarsi sui caratteri di questo ceto politico, oltre che narcisista, chiuso in dinamiche puramente burocratiche e di pura autoconservazione personale, di corrente e talvolta addirittura familiare. Niente di male, se ricordassero che la politica di una parte, anche di un partito, è seria e positiva se fa coincidere il proprio interesse con quello del proprio paese. L’abc di una politica democratica… Sono d’accordo. Ma per farlo bisognerebbe sapere che siamo seduti su un vulcano, e non mi pare che lo capiscano. Se c’è una cosa che sorprende nei politici con cui abbiamo a che fare è la serena incoscienza con cui fanno i loro giochi. L’Europa è ormai periferia del mondo, l’Occidente è altrove, la composizione demografica dei nostri paesi è profondamente mutata, il cristianesimo ha perso funzione e centralità con tutto quello che consiste dal punto di vista della formazione delle identità personali e collettive, sono cambiate le modalità della vita quotidiana, si sono trasformati i rapporti tra la vita e la morte, la guerra è diventata il nostro orizzonte, si parla dell’uso di armi atomiche… Intendiamoci: un partito si muove sul piano politico, ma non si fa politica senza riflettere su questi temi, e senza avere una visione di quello che l’Europa sarà da qui a dieci anni.
Siamo a un vero trapasso d’epoca, un mondo è finito, riferimenti secolari stanno sparendo nella vita familiare e civile e nella società. Ci vogliono strumenti -e occhi- nuovi per capire questo, e comprendere anche che queste trasformazioni generano paure, angosce, di cui si nutre la destra, che su di essa ha costruito il suo successo. Ma, la storia insegna, le novità possono essere metabolizzate con rivoluzioni passive, ma non si fermano specie quando, in molti casi, sono generate dalla disperazione di moltitudini di uomini. Una nuova leadership dovrebbe capire che questi sono i problemi e tradurli, naturalmente, in iniziative politiche. Contenuti, progetti e leadership dovrebbero essere tutt’uno. Ma nella corsa alla segreteria del Pd non sembra essere così. Tra le candidature in campo qual è quella che la convìnce di più e perché? Personalmente avevo deciso di non andare alle primarie, con tutto il rispetto che si deve a chi si è candidato. Ci andrò perché si è presentato Gianni Cuperlo, e sarò dalla sua parte perché è consapevole che i problemi sono questi, con una giunta sostanziale. Sa che i diritti civili sono essenziali, ma che fondamentali sono i diritti sociali, perché il nostro problema principale sono oggi le diseguaglianze, la perdita di centralità del lavoro, la crisi della scuola, della università, che non si risolve ovviamente con l’apologià del merito, e lo dice un professore della Scuola Normale che del merito ha fatto, ma in modo serio e intelligente, la sua bandiera, da più di due secoli. È un’altra delle “pappolate” che ci vengono propinate in questi giorni. E poi lo stimo perché non è afflitto da alcuna forma di “narcisismo penoso”. Anzi. Fare opposizione è una pratica diventata desueta per il Pd, almeno nell’ultimo decennio e più. E ora Enrico Letta sogna un partito “pugnace”…
È difficile capire cosa abbia fatto il Pd in questi anni, salvo gestire il potere. E questa sia chiaro non è una critica. Un partito deve gestire potere, dipende da come lo fa. E qui bisognerebbe distinguere, senza fare di ogni erba un fascio. E anche sulla opposizione occorre chiarirsi. L’opposizione di un partito che ambisce a governare deve situarsi sempre nell’orizzonte del potere, ed essere lontana da ogni forma di minorita- rismo, di ribellismo primitivo. Si governa anche essendo opposizione, come avviene in tutte le democrazie rappresentative. Ma la loro crisi ha portato anche all’imbarbarimen- to o alla dissoluzione del concetto di opposizione. Dire che il Pd deve fare una opposizione pugnace – non me ne voglia Letta- è un’ovvietà. Naturalmente l’opposizione non si fa solo in Parlamento, ma anzitutto nella società, ricostituendo anche per questa via i rapporti usurati o rotti fra partito e società, fra cittadini e politica, cittadini e Pd. Situata nell’orizzonte del governo l’opposizione può essere una grandissima risorsa per un partito riformatore che vuole tornare alla guida del paese. La destra, è una narrazione ricorrente, vince perché sa parlare alla “pancia” del Paese. Non crede che questa sia una lettura semplicistica e fuorviante? Non è che la destra vince, perché ha costruito una sua egemonia culturale, identitaria, coprendo il vuoto lasciato dalla sinistra? È un discorso complesso, e qui non si può non citare due fenomeni che congiunti hanno portato la destra al potere. Il berlusconismo, in Italia è stato un fenomeno di prima grandezza, anche se molti sembrano averlo dimenticato.
La vittoria della destra viene da molto lontano, ma questa che ha vinto è una destra erede del Movimento sociale italiano, ulteriormente radicalizzatasi attraverso l’incorporazione, ma in forme estreme • e trovando su questo consenso-, dei processi sociali e politici innescati in Italia da eventi di vasta portata come l’immigrazione-legale o clandestina- con tutto ciò che una novità di questa grandezza ha provocato a tutti i livelli. E questo a cominciare dai ceti più deboli e in sofferenza anche per le modificazioni e la crisi del tradizionale mercato del lavoro, con l’esplodere di nuove emarginazioni, di nuove forme di solitudini, di violente forme di risentimento, arrivate a volte a punte estreme. Se c’è una modernità di questa destra, è qui che essa si situa: nell’aver incorporato, in termini estremistici, questi mutamenti. Il non aver partecipato al governo Draghi aveva, oltre a quelle tattiche, queste motivazioni strategiche. Berlusconi era ed è un’altra cosa. Oltre a cambiare in profondità il sistema politico italiano- ed è stato positivo, essendo il centro sempre un pantano- si è mosso in un orizzonte di tipo genericamente “liberale”. La Lega è un’altra cosa ancora. Capire vuol dire distinguere. I contrasti nell’alleanza sono reali, non di facciata, anche se sono stati intelligenti nel costituire un’alleanza elettorale.
C’è però un altro elemento da sottolineare per capire dove stiamo, ed è il dominio in Italia, e non solo, della ideologia, di una nebbia ideologica che impedisce di vedere la realtà per quel che è. C’è un mondo reale e un mondo fittizio, noi viviamo in un mondo rovesciato nel quale diseguaglianze, sofferenze, sfruttamento perdono peso, si offuscano, non si vedono. Se c’è una cosa che un partito riformatore dovrebbe fare è una critica dell’ideologia, ristabilendo anzitutto il rapporto fra cose e parole, ridando significato alle parole. Si è perduto su questo terreno, con una conseguenza paradossale: oggi i reazionari si presentano come i veri innovatori, capaci di fare quello che il popolo ha chiesto. Ma come diceva Guicciardini la folla è sempre in caccia di novità. E questo significa che la critica della ideologia • che consente di vedere la realtà per quella che è, rimettendola sui piedi – è oggi la cosa più importante per un partito riformatore che voglia rimettersi in cammino. Il “nuovo Pd” tra iniziazione e vecchie ritualità. Analizzato da un’autorità assoluta nel campo degli studi storico-filosofici: Michele Ciliberto, professore emerito di Storia della filosofia moderna e contemporanea alla Scuola Normale Superiore di Pisa.