Dodicimila preferenze meno una, la sua. Gianni Cuperlo è fatto così: non ha votato neanche per sé stesso al congresso nei circoli che lo ha escluso dalle primarie. «E non è neppure la prima volta», sorride il deputato. Piuttosto seccato non per la sconfitta, ma perché «è stato cancellato ogni confronto sulle idee».
È per questo che ha deciso di non sostenere nessuno alle primarie?
«Ho deciso e non da solo. Martedì sera, in una riunione convocata in fretta, si sono collegati in 496 con una discussione intensa. La scelta è un appello alla partecipazione più larga e la via della libertà come atto di coerenza. Conoscevamo i favoriti e le regole assurde del congresso, ma in nome di quella coerenza abbiamo preferito esserci. Ora, se ci apparentassimo, verremmo meno a una parte di quelle ragioni. Detto ciò ciascuno sceglierà secondo convinzione e coscienza».
Il suo risultato è stato deludente: anche lei, come Calenda, si sente incompreso dagli elettori?
«Assolutamente no, noi siamo partiti in ritardo e abbiamo coinvolto persone che altrimenti non ci sarebbero state. Ci siamo battuti a mani nude, scalando una montagna con le infradito, senza potentati alle spalle, senza presidenti di Regione, capicorrente ed ex ministri».
Hanno sbagliato Bonaccini e Schlein ad arruolarli?
«Lo ripeto, noi non ci siamo piegati alla logica del derby prevista dallo statuto e abbiamo provato a spostare il congresso sulle idee. Abbiamo cioè imboccato il sentiero di una autonomia culturale e a chi oggi si stupisce dico che è la conseguenza dell’aver respinto i reclutamenti, consapevoli che non è più tempo di slogan, rottamazioni o innovazioni senza un piedistallo culturale».
Tradotto dal politichese, che cosa significa?
«Che tutto il gruppo dirigente, tranne Enrico Letta, si è accasato con l’una o l’altro candidato ritenuto favorito. Ma un congresso non può ridursi a una sfida maggioritaria, io mi sono battuto per evitarlo. Ecco perché ora bisogna rifondare l’impegno lontano da vecchi schemi, denunciare i signori delle tessere, restituire una quota di potere a chi negli anni è stato chiamato solo a ratificare decisioni assunte dall’alto. In tanti luoghi ho visto un Pd sano, ma altrove malato e respingente. Il punto è che senza mescolanza e libertà la democrazia in un partito si immiserisce sino a spegnersi».
Ma proprio per questo non sarebbe stato doveroso schierarsi?
«Dipende da cosa intendiamo per dovere. Può essere pure disobbedienza e io lo interpreto come la via perché le coerenze che si sono seguite tendano una mano al dopo. Il tema è il limite di primarie dove, lo ha scritto bene Ezio Mauro, a prevalere è la competizione tra i candidati più che tra le idee in una sfida che crea personaggi prima che pensiero. Noi siamo stati un piccolo argine a tutto questo».
Per affinità di temi, non sarebbe stato naturale l’approdo su Schlein?
«La apprezzo e so che il tema è unire la sinistra dentro e fuori da noi. Ma torno al punto che riguarda Elly quanto Stefano: non si affronta il cambio d’epoca più dirompente della storia senza ricostruire un pensiero della sinistra su economia e società a partire dalla pace, dall’etica del lavoro, dai confini inediti della vita».
La seguiranno i 12mila iscritti che hanno votato per lei e quelli che avrebbero voluto farlo ai gazebo?
«Tendo ad avere fiducia e a dare fiducia nella libertà di ognuno, questo varrà anche per la scelta che farò io. Quanto alle regole mi batterò perché cambino. Con un segretario o segretaria scelti dagli iscritti e riscoprendo il valore del pluralismo che è condizione essenziale se credi che le ragioni dell’altro non siano un intralcio ma una ricchezza. In passato non è avvenuto, ma i ponti e l’unità della sinistra passano da qui».
Come giudica l’idea del ticket Bonaccini-Schlein dopo le primarie?
«Chiunque vinca, se lo facessero sarebbe una buona cosa. E comunque vorrei un gruppo dirigente capace di valorizzare le risorse migliori senza piegarsi agli eserciti di ieri e di oggi. Spero davvero che la formula “ho vinto le primarie, adesso il partito è mio” venga sepolta per sempre».
Lei chi voterà ai gazebo?
«Lo dirò prima dei gazebo”
Vista la diplomazia, facciamo il gioco della torre: chi butterebbe giù fra il governatore e la deputata?
«Butterei la destra, ma per riuscirci bisogna smettere di pensare che l’avversario ce l’abbiamo di fianco. Un partito sano non butta la gente fuori di casa, apre le porte».