Intervista a “La Stampa”
La corsa per la segreteria Pd non è una partita a due, per Gianni Cuperlo. La scelta di candidarsi, spiega, è convinta: «Io ci credo, non penso a un esito già scritto». E poi, aggiunge, è giusto essere in campo «perché vedo troppi trasformismi nelle scelte di potentati e correnti che si apprestano a fare un altro giro al comando e questo non è accettabile». E poi, aggiunge, bisogna impegnarsi in prima persona «perché penso che se il Pd dovesse fallire la sinistra e la democrazia di questo Paese si risveglierebbero molto più fragili». Però a poco più di un mese dal voto ancora si discute sulle regole. Le primarie on- line si possono fare? «L’anno scorso un’inflazione media al 10,9% ha sottratto alle famiglie 100 euro solo per pane, pasta, farina e riso. C’è una destra ubriaca del potere che premia gli evasori, punisce la povertà, ricatta i migranti e polemizza con l’Europa per giustificare le sue ambiguità sul Pnrr.
Le pare sensato che noi discutiamo di regole? Io dico decidiamo come allargare la partecipazione, personalmente resto dell’idea che uscire di casa e andare al circolo, stringere mani e parlarsi sia un buon esercizio di democrazia». Che tipo di Pd ha in mente? Il progetto del 2007 è ancora valido? «Da allora è cambiato il mondo. L’illusione di un mercato globale col trionfo dei valori liberali ha lasciato posto a una pagina medita del conflitto contro l’occidente. La democrazia è più fragile sulle due sponde atlantiche. In Italia il bipolarismo arranca mentre ingiustizie profonde si sono approfondite. Aggiungo i sei milioni di voti persi e un partito che fatica a dire chi è e per chi si batte. Il peccato è stato rimuovere per anni un bagaglio di errori e sconfitte pensando che un volto e un nome nuovo sarebbero bastati a rialzarsi. Non era così. Oggi a noi serve recuperare la reputazione e una promessa, vorrei dare una mano a farlo». M5s e centristi continuano ad attaccarvi.
Non avete in questi anni discusso troppo in astratto sulle alleanze anziché sulla vostra proposta politica? «Ho usato la parola promessa perché viene prima di qualsiasi alleanza. Siamo stati al governo per dieci anni senza vincere le elezioni. Puoi giustificarlo in mille modi e penso che abbiamo fatto anche cose positive, mala frattura con pezzi del nostro mondo si è consumata. Conte e Calenda pensano di guadagnare consensi sulle nostre difficoltà? Affari loro, io penso che tocca a noi uscire da questa crisi, dire parole nette sulle ingiustizie assurde di adesso, restituire una voglia di riscatto a chi è in fondo alla fila. Pensare di farlo in continuità col passato, dal “jobs act” alla responsabilità spinta a fare dell’agenda Draghi la nostra carta d’identità, è prendere contromano». C’è chi pensa che si debba fare i conti una volta per tutte con il “renzismo”.
Ma i Ds, l’Ulivo, il Pd, hanno abbracciato la “terza via” ben prima di Renzi… «Il Pd nasce dall’incontro di culture diverse e dalla volontà di formare una identità comune. Quel pluralismo per me era e resta un valore, riguarda la natura del progetto, ma oggi la prova è avere un racconto chiaro sulla parte di società che scegliamo di promuovere, emancipare, rappresentare a partire dai giovani e dalle donne. Quanto a Renzi: è altrove. Ciò che conta per me è archiviare quella visione di Paese. L’idea dei sindacati come un ostacolo alla crescita o che si dovessero disintermediare le decisioni. Tradotto, meno partecipazione e più potere nelle mani di pochi. Quel disegno è fallito anche se nel Pd c’è chi lo rivendica. Io penso che si debba cambiare radicalmente l’impianto perché non si è rotto il timone, si è sbagliata la rotta». Il mantra è: basta col partito delle Ztl. Ma in periferia funziona più il populismo ormai che la sinistra, anche su temi come l’immigrazione…
«La destra taglia il sussidio per vivere a 800 mila persone. Penalizza i pensionati colpiti dall’inflazione. Reintroduce i voucher e aumenta la precarietà, celebra il fascismo con la seconda carica dello Stato e minaccia pene assurde per i ragazzi della rivolta sul clima. Difendere la speranza di vita per chi annega nel Mediterraneo è giusto in sé. Poi sta a noi unire la trama dei diritti umani, quelli sociali, civili, di libertà e partecipazione. Ma questo può farlo solo un partito da ricostruire completamente». Da ricostruire anche per lo choc del Qatargate? «Quella è una ferita per migliaia di sindaci e parlamentari che vivono l’impegno con lealtà e sacrificio. Un colpo all’Europa, alla sinistra, tanto più perché in gioco sono i diritti umani, la premessa della democrazia. E allora non basta l’intervista di Berlinguer a Scalfari, serve l’onestà di riconoscere che quella questione morale si è incuneata dentro noi e anche per questo il Pd va ricostruito nell’idea di un’etica pubblica condivisa».