Se esponenti di sinistra delinquono, anche se è un fatto di singole “mele marce”, il danno è particolarmente grave e doloroso, perché attacca e toglie credibilità alla sinistra, svuota di significato questa parola, tradisce i nostri ideali, ben diversi dagli obiettivi affaristici e corporativi che fanno da collante alla destra come dimostra la questione dei 49 milioni della Lega sollevata dalla Procura di Genova e di cui nessuno parla più.
Su questo tema, ma anche sulla manovra di governo, sui problemi del Paese e sul prossimo congresso del Pd abbiamo interpellato il deputato Pd Gianni Cuperlo, che il 23 dicembre ha rotto gli indugi e ha deciso di candidarsi alla segreteria del Pd per cercare di scongiurare il rischio di una deriva francese del partito che continua a scendere nei sondaggi dopo lo scandalo delle mazzette che al parlamento europeo ha coinvolto, tra gli altri, Antonio Panzeri, ex sindacalista della Cgil, ex parlamentare europeo del Pd ed esponente di Articolo1.
Gianni Cuperlo, parliamo del Qatargate e non solo. C’è una urgente questione morale da affrontare anche a sinistra?
Penso che davanti allo scandalo emerso in questi giorni le formule di rito non bastino. Limitarsi a dire che “nei fatti non c’è nulla di penalmente rilevante”, al netto che in questa vicenda di penalmente rilevante vi sono molte cose, o la figura altrettanto logora della “mela marcia in un cesto di frutti sani” sono parole svuotate e che non danno risposta alla domanda di fondo: come è stato possibile che dentro la sinistra si siano abbassate sino ad annullarsi le soglie del controllo, della vigilanza, di quella dimensione etica dell’agire politico che è tutt’uno con la reputazione di una forza politica e delle sue classi dirigenti? Forse la destra soffre non meno fenomeni di questa natura, dal conflitto di interessi allo scandalo dei 49 milioni della Lega, ma è sbagliato affrontare il problema scaricandone il peso sugli altri.
Come intervenire? Il finanziamento pubblico ai partiti offrirebbe una soluzione? C’è un problema di selezione dei gruppi dirigenti?
Siamo di fronte a una crisi che riguarda noi e in generale la sinistra: non esiste più alcuna superiorità morale di questo lato del campo e dobbiamo riconoscere che alcune scelte compiute negli anni passati come la soppressione di ogni forma di finanziamento pubblico ai partiti ha contribuito a questa regressione. Altro ovviamente è l’emergere di reati di corruzione per i quali è giusto che i singoli rispondano, ma insisto nel dire che sarebbe ipocrita fingere che la questione morale non sia di nuovo il cuore di una rigenerazione della politica, della sinistra e del Partito democratico.
Come valuta la manovra varata dal governo Meloni? Qual è il suo giudizio sulle politiche del lavoro del governo?
Sulla manovra più delle parole contano i fatti. La destra una volta agganciato il potere paga le cambiali che aveva sottoscritto durante la campagna elettorale. Taglia il reddito di cittadinanza a migliaia di persone giudicate occupabili e ragionevolmente condannate a scivolare sotto la soglia di povertà. Reintroduce i voucher sino a 10.000 euro con la conseguenza di incentivare il lavoro precario invece che operare con misure capaci di stabilizzarlo. In compenso fanno cassa sulle pensioni e allargano la flat tax per autonomi e professionisti sino a 85.000 euro senza tenere conto che la Banca d’Italia ha spiegato come quella misura, l’aliquota del quindici per cento applicata sinora ai redditi fino a 65.000 euro, ha determinato una brusca riduzione del gettito e un incentivo all’evasione. Sommiamo la norma sul contante e la decina di mini condoni e arriviamo all’emendamento che salva i potenti club di un calcio indebitato con tanti saluti a misure di equità e redistribuzione. Infine nessuna strategia sul tema della produttività dove siamo agli ultimi posti in Europa.
Alla festa per i 10 anni di Fratelli d’Italia che si è svolta a Roma il 16 e il 17 dicembre vari esponenti del governo hanno accusato i governi di centrosinistra di aver precarizzato il lavoro, affermando di volersi occupare dei lavoratori poveri. Ma intanto il governo Meloni rilancia i vaucher, cancella il reddito di cittadinanza, ha messo una pietra tombale sul salario minimo. La Cgil e la Uil hanno espresso un giudizio molto critico, anche attraverso una mobilitazione. Che ne pensa?
Sono tra quanti non ha condiviso tutte le scelte che il centrosinistra ha compiuto in passato sul terreno delle politiche per il lavoro. Credo che abbiamo contribuito ad alimentare una precarietà diffusa nel segno di una flessibilità male interpretata. Il Jobs act è stato l’elemento più simbolico di una visione alterata delle tutele e garanzie che avremmo dovuto offrire. Voglio dire però che ci siamo impegnati nell’ultima legislatura per introdurre dei correttivi che il ministro Andrea Orlando ha difeso sino alla caduta del governo Draghi, compresa l’introduzione di un salario minimo assente quasi soltanto nel nostro Paese.
Quale è il nocciolo di una politica di sinistra per affrontare la piaga del lavoro povero/working poor, che riguarda centinaia di migliaia di persone che pur lavorando non riescono a sopravvivere?
Penso che la priorità sia un intervento forte di contrasto alla povertà, parliamo di sei milioni di persone, oltre il nove per cento della popolazione. Una persona è ritenuta povera se ha un reddito inferiore a 640 euro al mese, ma si può essere poveri pure guadagnando il doppio se quella famiglia ha figli a carico, condizione che oggi riguarda oltre due milioni e mezzo di italiani. È il fenomeno dei working poor che si somma alle forme più tradizionali della povertà. Penso che noi dobbiamo ripartire da questa fotografia sapendo che la sinistra deve trovare qui una delle ragioni e radici della sua ripartenza.
Scuola Ricerca e sviluppo. Il ministro dell’Istruzione Valditara riduce gli istituti e parlando di merito, guarda a una stretta integrazione scuola lavoro, riducendo la ricerca di base, finalizzandola al profitto industriale . “Non disturbare chi fa impresa” è il motto”, anche dentro la scuola, intanto però gli studenti si mobilitano contro questo governo…
Di questi primi mesi di attività del ministro dell’Istruzione e del Merito rimane agli atti l’uscita sul bisogno di accompagnare alla giusta sanzione verso episodi di bullismo anche una “umiliazione” del ragazzo che ne sia autore come metodo di rieducazione. Basterebbe questa scivolata a tracciare un giudizio sull’impostazione del nuovo inquilino di viale Trastevere, ma il tema di fondo è nella loro interpretazione sbagliata dell’articolo 34 della Costituzione, quello dove si afferma che anche i meritevoli privi di mezzi devono potere proseguire negli studi. Hanno confuso il concetto di merito con un’idea della meritocrazia che, se depurata di pari condizioni di partenza, si traduce in privilegio. Due ricercatori della Banca d’Italia hanno confrontato la Firenze attuale con quella dei Medici, vuol dire sei secoli fa, e la scoperta è che le famiglie più ricche e quelle più povere sono rimaste praticamente le stesse. A questo sommiamo i ritardi del nostro sistema scolastico dove le bocciature riguardano in percentuale nettamente più alta ragazze e ragazzi che provengono da famiglie meno abbienti.
Come invece si dovrebbe intervenire per il futuro della scuola e della ricerca pubblica?
Investire sulla scuola e sulla ricerca significa garantire in primo luogo parità di accesso e di offerta formativa, la manutenzione delle scuole e degli istituti superiori, laboratori e una didattica adeguata, docenti pagati il giusto riconoscendo il valore sociale di quella professione. Aggiungo, l’ipotesi di garantire tasse universitarie ridotte in misura maggiore per le fasce sociali più in difficoltà. Nel resto dell’Europa quelle tasse sono inferiori alle nostre, meno di mille euro in Francia mentre non si pagano tasse universitarie in Germania, Grecia, Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca, parliamo ovviamente di università pubbliche. Quanto alla ricerca credo sia necessario investire in progetti europei che, soprattutto dopo la tragedia del Covid, dimostrano l’urgenza di una vera cooperazione almeno su due fronti, la sanità e la transizione ecologica.
Il ministro per gli Affari regionali Calderoli rilancia sull’autonomia differenziata. In un momento in cui sono già molto gravi le disparità fra nord e sud. Se fosse attuata la proposta sostenuta con forza dalla Lega e in maniera soft dall’Emilia Romagna di Bonaccini sarebbe un disastro come denunciano studiosi come Viesti, che al tema ha dedicato il pamphlet “La secessione dei ricchi“?
Ho partecipato all’audizione del ministro Calderoli alla Camera e la sua impostazione non ha convinto molti di noi. La tesi è che le 23 materie oggetto di delega a singole Regioni sono una eredità rispetto alla quale il governo appena insediato non ha alcuna responsabilità, ma il punto non è lì. Certo che la riforma del Titolo V nel lontano 2001 fu opera del centrosinistra, oggi però il tema, come ha spiegato Michele Ainis, è che in questo “valzer delle competenze le materie non sono tutte uguali”. Il commercio con l’estero non si può paragonare alla sanità o alla scuola perché il rischio è colpire il principio costituzionale della parità di diritti in aree diverse del Paese. Affermare che in un anno verranno indicati i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) dopo che da anni non si è riusciti a farlo appare come una scorciatoia per issare la bandiera di un’autonomia differenziata cara soprattutto ai leghisti e che finirebbe con l’accentuare disparità e disuguaglianze irricevibili. Aggiungo che il piano del ministro, parlo della bozza circolata, prevede che il trasferimento di competenze non comporti una spesa aggiuntiva per la finanza pubblica, ma anche su questo è lecito dubitare visto il precedente dei tre accordi preliminari con Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, sottoscritti nel 2018 dal governo Gentiloni e per i quali fu calcolato un maggiore onere di spesa di circa venti miliardi l’anno. Insomma, penso che occorra vigilare su un capitolo di questa legislatura dove la destra potrebbe produrre guasti destinati a perpetuarsi nel tempo.
Immigrazione. L’Italia è sempre più un Paese di anziani. Ma dalla Bossi Fini che ha istituito il crimine di clandestinità non ci sono più possibilità di accessi regolari. Tema annoso. Ora il governo Meloni non chiede più nemmeno la revisione del trattato di Dublino, ma chiede di sigillare le frontiere italiane e europee. Sono fuori dalla realtà e dalla storia? Eminenti demografi come Livi Bacci e suoi allievi su Left dicono che fra non molti anni dovremo pregare i migranti africani di fermarsi da noi, mentre vorranno andare in Cina, in Giappone, in nord America. Quale è il suo punto di vista?
Penso che Massimo Livi Bacci abbia perfettamente ragione e che soltanto chi non vuole vedere può negare un dato così oggettivo. Nel dopoguerra i redditi da lavoro, dipendente e autonomo, raggiungevano all’incirca il 65-70 per cento del nostro reddito nazionale ed era con quella fonte di reddito e di gettito che abbiamo ricostruito il paese e garantito un sistema di welfare universalistico e diffuso. Quei redditi da lavoro oggi sono scesi al 47 per cento del Pil e questo da un lato spiega l’aumento della disuguaglianza, dall’altro lato pone la questione che solleva Livi Bacci e cioè come compensare un calo demografico che mette in discussione la tenuta del nostro impianto di protezione sociale.
Il ministro dell’Interno Piantedosi annuncia nuove strette sulle Ong. I dati dicono che solo il 14 per cento di migranti arrivano in Italia salvati dalle Ong, il resto arriva autonomamente con brachini, giustamente aiutati dalla guardia costiera italiana. Anche su questo una sua opinione?
Riguardo all’azione di questo governo sul versante dei migranti e la crociata contro le Ong più delle parole, come lei dice, parlano i numeri. Negli ultimi due anni la percentuale di persone sbarcate sulle nostre coste grazie alle Ong oscilla tra il dieci e il quindici per cento del totale. Non esiste alcuna prova di un collegamento tra quelle organizzazioni umanitarie e trafficanti di vite umane mentre è un dato di fatto che gli accordi sottoscritti dei precedenti governi, quindi anche da noi, con la Guardia Costiera libica hanno prodotto come effetto quello di riportare nei lager della Libia donne, uomini e minori, disperati dopo mesi o anni di violenze e torture. Aggiungo che l’avere scelto la destra la strada dell’isolamento rispetto all’Europa su un terreno dove la cooperazione continentale è decisiva restituisce per intero la misura della incompetenza e irresponsabilità di questa maggioranza.
Veniamo a un tema che ci sta molto a cuore, Donne e diritti, a cui dedichiamo la storia di copertina di Left in edicola. Per quanto la presidente del Consiglio Meloni abbia affermato di non voler mettere mano alla legge 194, la neo ministra della famiglia e della natalità Eugenia Roccella, da anni fa una guerra alla somministrazione della Ru 486, e contro quello che lei chiama “aborto chimico”. E Gasparri ha riproposto che venga riconosciuta identità giuridica all’embrione, contro ogni evidenza scientifica, di nuovo colpevolizzando le donne che per molti motivi decidono di interrompere una gravidanza. Che ne pensa?
Penso che questo governo voglia colpire alcuni diritti e per farlo sia disposto a utilizzare argomenti e iniziative di assoluta gravità. In intere Regioni, non a caso governate dalla destra, la legge 194, una legge dello Stato, risulta nei fatti inapplicata e questo è inaccettabile. Anni fa era stato Stefano Rodotà a insegnare a molti di noi perché i diritti sono indivisibili, avanzano o retrocedono assieme. Diritti umani, sociali, civili, diritti di libertà della persona e di autodeterminazione. Anche per questo penso che sul “controllo” della vita – di come e quando possa iniziare, di quando e come possa finire – noi abbiamo di fronte una destra traversata dal pensiero più reazionario e credo che su questi terreni dovrà misurarsi la nostra capacità di difendere quell’accesso alla cittadinanza che è stato oggetto di lotte e conquiste da conoscere e preservare. Lotte che hanno sempre visto nel pensiero e nell’iniziativa delle donne un perno insostituibile.
Congresso del Pd. Porterà queste istanze al congresso?
Penso che il nostro congresso debba fare due cose: imparare a discutere e tornare a pensare. Si dice che la sinistra sia prigioniera di una discussione infinita su sé stessa e che anche per questo è condannata a dividersi. Ma non è così. Noi abbiamo subito due sconfitte pesantissime – le più gravi della storia – nel 2018 e nel settembre scorso. Prima avevamo perso il referendum costituzionale del 2016. Nel mezzo un segretario eletto con le primarie si è dimesso con un tweet spiegando che si vergognava di un partito impegnato solo a discutere di posti. Il punto è che su nessuna di queste sconfitte o traumi si è mai aperta una riflessione seria. Si è preferito nascondersi la realtà appellandosi alle primarie nella convinzione che cambiato un nome avremmo risolto il guaio. Ma non è andata così. Pensare che possa bastare oggi temo sia un altro errore. Però questa volta più serio perché in discussione non è solamente il destino di un leader. Il pericolo di ora è che il progetto dell’origine – il partito del centrosinistra per il nuovo secolo – non regga l’urto degli eventi che non abbiamo avuto il coraggio di affrontare. Speravo e spero in un congresso dove finalmente di tutto questo si discuta, anche in modo aspro se serve, ma sincero, per capire come non disperdere un patrimonio di umanità, passione e culture. Sull’esserci in prima persona lo discuterò e deciderò non da solo, come è giusto fare in una comunità di persone libere e pensanti.
Il 23 dicembre Gianni Cuperlo ha rotto gli indugi e annunciato la sua candidatura intervistato da Giovanna Casadio su Repubblica. Mentre all’Huffpost ha dichiarato: «C’è il rischio di una deriva greca o francese del Pd, devo farlo anche se la ragione me lo sconsiglia – spiega -.Ci ho riflettuto, so benissimo che ci sono due candidature favorite, ma è un congresso talmente importante che nella prima fase, quella dove a votare saranno gli iscritti, chi ha delle idee sul dopo credo abbia persino il dovere di esporle e discuterle».