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Gianni Cuperlo - Deputato XIX Legislatura - Camera dei Deputati - Gruppo PD

“La vittoria di Elly Schlein smentisce il declino del PD”

Intervista a Gianni Cuperlo su "Il Riformista"

L’intervista su “Il Riformista” qui.

È stato uno dei quattro contendenti alla segreteria Dem. Con Il Riformista trae un bilancio di questa esperienza, politica e personale, e spiega come starà nel nuovo Pd “targato” Elly Schlein. La parola a Gianni Cuperlo.

Elly Schlein è la nuova segretaria del Partito Democratico, ribaltando nelle primarie il voto degli iscritti. Qual è a suo avviso il segno politico più marcato di questa elezione?
La smentita sul declino del Pd. Se la volgiamo in positivo, la conferma dell’ottimismo incorreggibile di oltre un milione di persone che in una domenica di pioggia, dopo mesi di epitaffi e ironie su di noi, sono uscite di casa e hanno raggiunto un circolo o un gazebo per dire una cosa semplice, siamo una forza viva con un popolo consapevole che per battere la destra serve un partito rinnovato nella testa e nel corpo.

Si può dire che la scossa si è sentita forte e chiara, una donna giovane, femminista, ecologista, alla guida della sinistra è qualcosa di impensabile solo qualche anno fa.
Vero, potrei dire che pareva improbabile sino a pochi mesi fa, ma si è creata una combinazione di almeno tre elementi capace di generare quel risultato.

Sarebbero?
Da una parte la vittoria di Giorgia Meloni e l’ingresso della prima donna a Palazzo Chigi col corredo mai rinnegato di quella “fiamma” a conferma di una destra fedele ai suoi trascorsi più tragici. È stata comunque una rottura che va letta nella sua portata.

Dunque Elly Schlein come la risposta da sinistra all’underdog Meloni?
Si tratta di biografie e profili radicalmente diversi. Il punto è nel secondo elemento che accennavo, l’onda che si è alzata contro l’establishment, comprese incrostazioni maschiliste rimaste a lungo intaccate nonostante tante donne, illustri o meno, con lotte e testimonianze abbiano tracciato la via di questa rivoluzione. A me pare che l’innovazione più forte di questa stagione sia nella maturità con cui il paese sta introiettando una parità di genere dalla quale non sarà più possibile regredire. Come le capita a volte la sinistra si è trovata spiazzata e si è accorta tardi di qualcosa che andava incubando anche sospinta da una forte influenza mediatica.

Ha citato tre elementi.
SÌ, il terzo elemento è stata una reazione di rigetto verso una destra che dal decreto banditesco sulle Ong alle minacce di sanzioni rivolte dal ministro Valditara a una preside che ha richiamato la matrice squadrista del fascismo sino a concepire la povertà come una colpa non ha perso tempo nel fare aprire gli occhi su quale debba essere il tratto di una opposizione ferma nei principi e coerente nelle risposte. Da questo punto di vista la domanda prevalente nel milione di elettori di domenica era di una discontinuità col passato nel segno di un orgoglio ritrovato e di parte. Termine quest’ultimo che trova la sua radice nel sostantivo “partito”.

Le prime dichiarazioni della neo segretaria come quelle del candidato sconfitto alle primarie del 26 febbraio, Stefano Bonaccini, sono all’impronta dell’unità. Eppure c’è chi teme l’innesco di una guerriglia interna di logoramento. Fioroni ha annunciato la sua uscita e altri sono in attesa allarmata.
La decisione di Fioroni mi è dispiaciuta come dispiacciono sempre gli abbandoni, che siano individuali o collettivi, penso alle scissioni che abbiamo conosciuto in quindici anni. Anche per questo ho apprezzato toni e stile usati da Stefano nella serata di domenica. Lo conosco da anni e so che quello spirito di collaborazione sarà la sua cifra nella stagione che si apre. Da parte sua Elly ha fatto bene a richiamare l’unità del Pd che si appresta a guidare aggiungendo come quell’unità sarà più forte se fondata su un indirizzo e una strategia chiare e comprensibili. Adesso l’onere di dimostrarlo spetta innanzitutto a lei e, insieme, a tutte e tutti noi, ma la partecipazione alle primarie dovrebbe archiviare una volta per tutte la logica maggioritaria per cui chi vince nei gazebo si fa “padrone” del partito e chi perde si accomoda in attesa di vedere ruzzolare la prima fila. Ecco, quella pellicola l’abbiamo già vista e non può essere riproiettata nel dopo. Io e molti altri abbiamo dato una mano per questo, perché tanto da minoranza durante la stagione renziana che da maggioranza nelle successive abbiamo visto che un partito e il suo gruppo dirigente non debbono mai tramutarsi in un derby senza possibilità e spazio di sintesi.

Ma lei che si è candidato come starà dentro la nuova fase?
Darò e daremo una mano come sempre. Senza rinunciare a una autonomia prima di tutto culturale, a quel senso critico e quella mescolanza tra noi che rappresentano un antidoto a un partito di troppe convenienze e trasformismi.

La nuova segretaria è attesa al varco sui temi che più hanno segnato l’ultimo anno tormentato del Pd, primo tra tutti la guerra e il dibattito sull’invio delle armi. Potrebbe essere quello il terreno di una nuova divisione interna?
Personalmente lavorerò perché non accada. La condanna dell’invasione russa e della crociata ideologica di Putin è stata netta e ha sorretto il ventaglio di misure che l’Europa col nostro pieno sostegno ha deciso di assumere. Il punto è cosa voglia dire stare con l’Ucraina “fino alla fine”. Perché quella fine non può essere la distruzione completa di un paese col conteggio di altre centinaia di migliaia di morti, da una parte e dall’altra. La Russia va fermata, su questo non possono esservi dubbi o ambiguità, ma per riuscirci la sola via percorribile è costringerla a un negoziato e in questo senso il ruolo di Washington e Pechino rimane essenziale. La sinistra europea deve riprendere un suo protagonismo e premere perché ogni spiraglio di tregua e trattativa venga allargato. Anche così si costruirà l’Europa del futuro perché è evidente che le posizioni belliciste di Polonia e paesi baltici sono materiale infiammabile sopra una polveriera.

In una intervista a questo giornale Sergio Fabbrini ha rimarcato che un partito “identitario” non si pone in grado di governare la complessità.
Questo è un tema serissimo che non si può liquidare in due battute. Merita una premessa che sta nel capire quale significato diamo al concetto di “identitario”. Quando nacque il Pd dirigenti autorevoli mi spiegarono che nasceva la prima forza non solo post-ideologica, ma post-identitaria del nostro sistema politico. Confesso che feci fatica a comprendere cosa si intendesse. Si voleva indicare un partito senza identità? Senza riferimenti culturali riconoscibili? Senza un pensiero sul tempo storico che ci era dato da attraversare? Le stesse piattaforme che si sono misurate nella prima fase del congresso non avevano differenze marcate sul piano programmatico. Più o meno tutti abbiamo ragionato su come riformare il mercato del lavoro, sul legame tra diritti sociali e civili, su sanità e scuola pubblica come sul rilancio di una strategia industriale e sul superamento delle normative peggiori in materia di migranti e solidarietà. Ma il punto, insisto, è la cornice che ispira quelle e altre misure.

Tradotto?
Parlo della lettura di una contemporaneità che ha il dovere di misurarsi coi bisogni materiali delle persone, ma non può eludere l’impatto della scienza sui processi vitali, sulla perdita di ancoraggi culturali che si parli dell’etica del lavoro o del concetto di “famiglie” o di una domanda di senso, persino di spiritualità, che con frequenza interroga società dove le disuguaglianze si accentuano, ma disancorate dalle categorie di classe per come avevano condizionato la rappresentanza della sinistra nella società e dentro le istituzioni. Tutto ciò genera conflitti che se non interpretati dalla politica possono condurre a scorciatoie autoritarie come sta avvenendo anche nel cuore dell’Occidente. Ecco perché il tema sollevato da Fabbrini è decisivo, solo non lo farei dipendere dalla singola dichiarazione. Lo ancorerei piuttosto a quella ricerca di un nuovo pensiero che era al centro della nostra “Promessa democratica”, riscoprire il legame tra la cultura e la politica, il pensiero e l’agire, la passione e il realismo che spingono l’ambizione fino a dove il sentimento e la ragione ti consentono di arrivare.

E ora? Come far vivere il “nuovo Pd” nell’opposizione al governo di una destra fortemente identitaria?
Incalzandoli passo passo sulle scelte irricevibili che hanno contrassegnato questi primi mesi di governo. Penso da ultimo alle uscite sgangherate del ministro Valditara e alle espressioni impietose del suo collega Piantedosi. Questa al governo non è una caricatura della destra, è “la destra” col suo impianto culturale e le sue pulsioni discriminatorie. L’insidia per noi è che a differenza del turbo liberismo di trent’anni fa parlano di redistribuzione, e però la intendono solamente a vantaggio dei loro elettori in una scrematura della società che lascia esclusi dalla cittadinanza fragili, migranti, poveri e chi non rientra nella triade “Dio Patria Famiglia”. Ma quando la sinistra è sfavorita nei rapporti di forza parlamentari a maggior ragione deve cercare di ribaltare quelli sociali nel paese perché solo così la spinta verso riforme radicali configura una alternativa vincente. Penso che questo debba essere il nostro compito dopo un congresso che ha restituito a tante e tanti una speranza di riscatto.