Altro che «fine del “trasformismo» come dice Giorgia Meloni, la proposta di premierato è «la fine degli equivoci» per Gianni Cuperlo. Per il parlamentare Pd la proposta di riforma della Costituzione del governo svela un disegno, quello di «archiviare la pregiudiziale antifascista. Sessant’anni dopo “Le mani sulla città” di Francesco Rosi assistiamo a “Le mani sulla Repubblica” da parte di un governo incapace di risolvere anche uno soltanto dei drammi di famiglie, lavoratori, imprese».
Avete definito questa riforma un’arma di distrazione di massa. Vuol dire che non proverete nemmeno a correggerla? Non vi sedete proprio al tavolo?
«Il dialogo sulle riforme dovrebbe essere la regola e in passato si è visto che aggirare quel metodo porta solo a sconfitte sonore. Detto ciò, giudico i fatti e i fatti dicono che appena liquidata una manovra con l’avviso al Parlamento di obbedir tacendo provano a stravolgere la Costituzione liquidando la forma di governo parlamentare e colpendo funzioni e ruolo del presidente della Repubblica».
Il centrodestra dice che non si toccano i poteri del presidente della Repubblica.
«E’ falso che non si tocchino prerogative e poteri del Colle. La loro proposta stravolge gli equilibri tra il presidente della Repubblica, eletto da una maggioranza assoluta delle due Camere con i delegati regionali e un capo del governo che sarebbe eletto direttamente dai cittadini. Il capo dello Stato si vedrebbe trasformato in un notaio senza più la funzione di arbitro nella gestione di situazioni di crisi».
Non sarebbe meglio un semipresidenzialismo a questo punto?
«Tutto sarebbe meglio di questo salto nel buio, ma se guardo al dibattito aperto in Francia sui limiti del semipresidenzialismo credo sarebbe sensato difendere la forma di governo parlamentare correggendola sui punti che vedono una convergenza larga, dalla sfiducia costruttiva a una nuova legge elettorale e a una disciplina efficace e moderna della vita interna dei partiti. La destra anziché ragionare sui fondamentali della democrazia s’inventa un esperimento già fallito altrove e che avrebbe l’effetto in un colpo solo di indebolire Quirinale, parlamento e governo».
Il “trasformismo” che denuncia Meloni però è un tema molto sentito dai cittadini. Nella scorsa legislatura abbiamo avuto tre governi con tutte le combinazioni di alleanze possibili. Il Pd non rischia di apparire “benaltrista” sulle riforme?
«A parte che quei tre governi erano pienamente legittimi, il punto è come si vuole contrastare il malcostume del trasformismo. Il programma di Fratelli d’Italia parlava di presidenzialismo mentre oggi la scelta cade sull’elezione diretta del capo del governo e ancora una volta l’argomento è la stabilità dell’esecutivo. Peccato che quel premierato non esista in nessuna parte del mondo. Lo hanno sperimentato in Israele nel 1996, 1999 e 2001 con risultati fallimentari e infatti se ne sono liberati nonostante in tutti e tre i casi il premer fosse stato eletto da una maggioranza assoluta dei votanti».
Il presidenzialismo l’uso reiterato della parola “nazione”, gli ammiccamenti al ventennio: la destra vuole imporre la propria egemonia culturale?
«La verità è che siamo al vecchio anti-parlamentarismo della destra con l’ultimo assalto alla partecipazione politica e alla rappresentanza, ma questa volta con un’aggravante: al timone del governo ci sono gli eredi della sola cultura politica rimasta estranea alla stesura della Costituzione del ’48. Per loro farsi artefici del superamento di quel compromesso assume un significato storico, equivale ad archiviare la pregiudiziale antifascista scegliendo la forma di governo come atto costitutivo della nuova Repubblica. Capirlo implica l’impegno a bloccare questo tentativo che assieme alle regole aggredisce alcuni caposaldi della nostra democrazia».
Renzi nel 2016 perse un referendum che, nel merito, aveva il consenso degli italiani. Fu un voto politico, contro di lui. La Meloni avrà calcolato il rischio?
«Noi faremo la nostra battaglia in parlamento e nel paese spiegando i rischi di questa riforma e mettendo in campo le nostre proposte. Quanto al referendum è di là da venire, ma il fatto che Renzi sostenga questo pasticcio infonde una nota di ottimismo».