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Gianni Cuperlo - Deputato XIX Legislatura - Camera dei Deputati - Gruppo PD

“Salari più alti riducendo la flat tax, riforma delle pensioni e tassa di solidarietà”

Le proposte di Gianni Cuperlo per le primarie del Pd

Salari più alti con il taglio del cuneo fiscale, un piano di occupazione straordinaria per le donne, più flessibilità sulle pensioni (soprattutto per i lavori gravosi), una nuova politica industriale che punti sull’innovazione fermando le delocalizzazioni e un’ulteriore riduzione dei consumi di gas e luce. Sono queste le principali proposte, in chiave economica, presentate da Gianni Cuperlo in vista delle primarie del Pd.

Il candidato alla segreteria dem spiega a Money.it quali sono le sue idee per il partito, che non deve pensare a “un programma di governo”, ma innanzitutto “ricostruire l’identità di una forza radicata nel Paese e vicina ai bisogni degli ultimi della fila” con “umiltà”. Tutto questo senza cambiare il nome al Partito democratico, anche se Cuperlo dice di capire la proposta del sindaco di Bologna Matteo Lepore.

In campo economico, Cuperlo critica le scelte del governo Meloni su Reddito di cittadinanza, sanatorie fiscali e flat tax, quindi propone di recuperare risorse contro il caro-energia dall’aumento della tassa sugli extraprofitti e contro la povertà introducendo un nuovo “contributo di solidarietà per le persone più facoltose.

Ha detto che questo dibattito costituente non può ridursi a una sola corsa tra le correnti per la guida del Pd. Come vuole cambiare il modello di partito e la sua missione politica in caso di vittoria?

Vorrei un partito umile, concreto e combattivo. Dove la leadership non pensi che guidare il Pd sia il trampolino per altri obiettivi, fosse pure il governo del paese. Non voteremo tra un mese e neppure tra un anno e allora questo è il tempo di ricostruire l’identità di una forza radicata nel paese e vicina ai bisogni degli ultimi della fila. A noi non serve un nuovo programma di governo, ma un pensiero sull’Italia, l’Europa e il mondo per come si sono trasformate in questi anni. Dopo nove segretari e due scissioni dobbiamo decidere chi siamo e quale parte di società ci candidiamo a promuovere e rappresentare. Vorrei anche un partito dove l’unità si fondi sul confronto aperto e non su filiere di potere.

Per dare un segnale di cambiamento profondo, il partito dovrebbe avere un nuovo nome?

Ho letto la proposta di Matteo Lepore e capisco lo spirito di porre al centro il capitolo del lavoro. Abbiamo una precarietà che dilaga e ruba il futuro a intere generazioni penalizzando in particolare le donne. Detto ciò credo che il nome che ci siamo dati rifletta oggi più che in passato una identità nuova ed espansiva della sinistra e lo penso proprio perché la democrazia nel mondo oggi è più fragile e va preservata con ogni mezzo e in ogni contesto dove ciò sia possibile.

Dal punto di vista della politica economica, quali sarebbero essere le tre priorità del nuovo Pd guidato da lei?

Alzare i salari che sono inchiodati da trent’anni, il loro potere d’acquisto è calato del 2,9 per cento rispetto al 1990. Nello stesso arco di tempo in Germania sono cresciuti del 33 per cento, in Francia del 31 e in Spagna del 6. Abbiamo oltre cinque milioni e mezzo di poveri assoluti, si è poveri di un reddito di 640 euro al mese, ma se hai uno o due figli non basta una somma doppia a quella per uscire dalla povertà. E allora portafogli più pesanti e sostegno a chi vive sul ciglio della disperazione sono priorità di una forza progressista. L’altro problema è il rilancio della produttività in un paese dove quell’indicatore è fermo da alcuni decenni, questo significa una politica industriale che si muova nel solco di Industria 4.0, ma vuol dire anche insistere nel fissare regole certe sui processi di delocalizzazione, battersi per introdurre un salario orario minimo, licenziare la legge sulla rappresentanza per disboscare la giungla di centinaia di contratti che aggirano le tutele più elementari. Infine un piano straordinario per l’occupazione femminile in un paese che ci vede, particolarmente in alcune regioni, agli ultimi posti della graduatoria europea.

Entriamo nel merito. Sul taglio del cuneo fiscale andrebbe fatto di più rispetto all’intervento del governo? Di quanto potrebbe essere aumentato e dove andrebbero cercate le risorse?

L’intervento del governo è de tutto insufficiente e su questo hanno ragione i sindacati a marcare la debolezza della manovra a partire dal suo impianto. La destra non capisce o non sa che oltre due milioni e mezzo di italiani lavorano con un contratto regolare che non consente comunque alle loro famiglie di reggere l’urto della crisi combinata agli effetti della pandemia. Si può e si deve fare di più con un intervento strutturale e non limitato a un anno. Quanto alle risorse questo è un governo che premia l’evasione e punisce le fasce sociali più deboli. Alzare la flat tax sino a 85mila euro per autonomi e professionisti otterrà l’effetto di aumentare il nero e l’evasione, mentre si potevano recuperare risorse per pensioni e salari che la destra penalizza.

Quanto al Reddito di cittadinanza: è giusto rivedere completamente la parte sulle politiche attive? E bisogna continuare a dare il sussidio a chi è “occupabile”?

Quella misura negli anni della pandemia ha evitato che centinaia di migliaia di famiglie cadessero nella miseria. Il limite di sommare la lotta alla povertà con le politiche attive andrebbe superato destinando risorse adeguate ai centri per l’impiego che vedono una presenza del tutto inadeguata di personale e professionalità. Sul termine “occupabili” francamente cadono le braccia. La grandissima parte dei percettori del Reddito sono persone con una bassa qualifica e non basta cambiare l’etichetta sulla categoria per disporre di nuove opportunità di impiego. La destra ha persino tolto la qualifica di “congruo” alle eventuali offerte di lavoro a dimostrazione che loro interesse non è affrontare il dramma umano di tante persone, ma proseguire nella propaganda che indica la disoccupazione come una colpa o il frutto della pigrizia.

Da anni si dibatte di una riforma delle pensioni, ma nessuno ha davvero superato la legge Fornero. Come farlo? E come prevedere un anticipo pensionistico per le categorie più svantaggiate (lavoratori gravosi, giovani e donne?)

In verità il centrosinistra nelle due precedenti legislature ha investito oltre venti miliardi nella correzione della Fornero. Con le salvaguardie per gli esodati, il rinnovo di “Opzione donna” che l’ultima manovra riduce a poca cosa, e in una serie di tipologie di lavori gravosi e pesanti, gli usuranti sono esclusi dalla Fornero, per garantire l’uscita a lavoratrici e lavoratori di settori ad alto logoramento fisico e non solo. Quella è la strada sulla quale insistere perché a sessant’anni sopra una impalcatura non si deve salire. Le risorse fanno parte di una riscrittura complessiva de nostro sistema di welfare, che non può più sopportare un peso sbilanciato solamente sul contributo del lavoro dipendente e dei pensionati stessi.

Capitolo caro-bollette, a marzo scadranno gli aiuti e i soldi scarseggiano: vanno rinnovati gli sconti sulle tariffe, facendo deficit o bisogna puntare sul limitare i consumi con incentivi al risparmio?

Non possiamo limitarci a sperare in un inverno mite, anche se una razionalità nei consumi è auspicabile in sé. Le misure del governo, i famosi venti miliardi della manovra, sono l’eredità di misure varate dal governo Draghi, ma serviranno a sussidiare la spesa di famiglie e imprese per i primi tre mesi dell’anno lasciando il dopo in una incognita sulle scelte che si faranno. Sarebbe stato serio e saggio intervenire con più coraggio sugli extra-profitti del settore energetico e non solo, agire su quel disaccoppiamento evocato in campagna elettorale e poi scomparso dai radar. Magari con una riflessione su un contributo di solidarietà, che in un Paese con milioni di poveri non dovrebbe suonare come una eresia.

Ultima cosa: quest’anno si rivedono le regole europee, come immagina il nuovo Patto di Stabiltà? Bisogna scorporare alcune spese dal calcolo del deficit? Quali?

L’Europa col Covid ha battuto un colpo, ha sospeso il Patto di Stabilità e le norme sugli aiuti di Stato, questo ha consentito anche a noi di fare deficit aggiuntivo per fronteggiare l’impatto sociale della pandemia. Oggi tornare indietro, alle politiche rigoriste che i cosiddetti paesi frugali hanno perseguito negli anni sarebbe un errore serio. È sacrosanto scorporare le spese per investimenti dal calcolo del deficit e credo che deviare da questa priorità non risponderebbe ad alcuna logica.

L’articolo su Money.it