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Gianni Cuperlo - Deputato XIX Legislatura - Camera dei Deputati - Gruppo PD
Per un nuovo PD

Per un nuovo PD

Il Partito Democratico è stato l’atto più innovativo che un centrosinistra radicato in tradizioni diverse ha avuto la forza di proporre nell’ultimo mezzo secolo.

Quella scelta è stata giudicata coraggiosa dalla famiglia dei socialisti e progressisti europei tanto da avere spinto il gruppo parlamentare di Bruxelles a mutare la sua denominazione in Gruppo dell’Alleanza progressista dei Socialisti e Democratici (S&D).

La natura del progetto, sino dall’origine, non è stata sommare culture distinte in una confederazione destinata a preservare quelle diversità.

L’obiettivo ambizioso era cogliere in un tempo mutato lo spazio per fare vivere una nuova cultura politica e di governo, un nuovo e inclusivo modo d’essere e di operare, dove ciascuna delle tradizioni coinvolte potesse riconoscersi e riversare il suo patrimonio di principi.

L’obiettivo ambizioso era cogliere in un tempo mutato lo spazio per fare vivere una nuova cultura politica e di governo, un nuovo e inclusivo modo d’essere e di operare.

In quest’ottica si sono misurate le identità della sinistra storica di matrice comunista, socialista, azionista, il cattolicesimo democratico, l’ambientalismo e il pensiero delle donne, la spinta per nuovi e più ampi accessi alla cittadinanza: tutti affluenti necessari di un unico pensiero sulla centralità della persona, la sua dignità, la coesione della società in grado di contrastare egoismi e individualismi a vantaggio di una riscoperta fraternità e sorellanza.

Quel disegno si rendeva possibile e necessario anche in ragione del venir meno dei motivi che a lungo avevano diviso storie politiche, culture e biografie collocate su frontiere contrapposte.

Uno spartiacque: nei fatti di questo si è trattato e quella novità ha consentito di affrontare un’impresa impossibile solamente pochi anni prima.

Oggi questo patrimonio corre il rischio di non reggere l’urto di eventi destinati a incrinare i pilastri che lo hanno generato.

Pesano i limiti dell’impianto inziale, in particolare l’interpretazione di una vocazione maggioritaria scambiata da alcuni per autosufficienza, e assieme a quello la concessione a una “politica liquida” ritenuta più adatta al tempo di una “società liquida”.

E pesano le sconfitte disseminate negli ultimi anni: dal referendum costituzionale del 2016 alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 sino alla vittoria della destra il 25 settembre del 2022. Nel mezzo due scissioni, le dimissioni dell’ultimo segretario eletto con le primarie, senza una discussione adeguata, il peso o l’uso delle emergenze, la corsa contro il tempo del dopo Draghi, la competizione dentro un possibile centrosinistra con l’intento esplicito del Movimento 5 Stelle e di Azione di essiccare il PD, le liste compilate senza un vero coinvolgimento: l’insieme di questi momenti ha finito col consegnare la guida del Paese agli eredi della destra più estrema.

Oggi il PD è a rischio, ma con noi sono a rischio soprattutto il centrosinistra e l’autonomia della politica democratica.

Dinanzi a questo quadro dispiace che qualcuno possa illudersi che basti scegliere un nome per risolvere la funzione, il modo d’essere, di un partito, tanto più se quel partito ha il privilegio di chiamarsi democratico.

Lo sappiamo, sono stretti i tempi del voto degli iscritti, delle iscritte e di chi si iscriverà per la selezione dei primi due che competeranno alle primarie aperte. E sono tempi strettissimi e faticosi per quanti nel Lazio e in Lombardia stanno affrontando le elezioni regionali del 12 e 13 febbraio.

Noi non ci siamo rassegnati e ci siamo per allargare, per dare una mano malgrado uno statuto ormai superato e che non premia una gara di idee.

Ci siamo per comunicare anche così il segno di una mescolanza che dovrà vivere nel dopo. Una mescolanza che non si misura sul già accaduto, sul già deciso, ma su quanto dovrà accadere e essere deciso da tanti e tante.

In molti è cresciuta una consapevolezza: il riscatto non si risolverà in qualche mese perché la rivoluzione da fare dev’essere profonda a partire dal gruppo dirigente e dalle scelte politiche da adottare con coraggio, coerenza e nel segno della radicalità.

Viviamo una stagione dove le idee e le parole di prima non bastano perché molto è cambiato e perché molte, troppe, parole sono già state “sciupate”.

La ricerca ambiziosa di oggi è riscoprire il valore di un “ordine” da non concepire in contrasto col principio di “libertà” che va, anzi, ampliato per concorrere a risanare le molte ingiustizie esistenti. La cultura liberale, da preservare in ogni modo, nelle sue punte e forme più estreme ha scardinato un ordine di senso collettivo e organizzato della comunità sociale e democratica.

Il punto è che senza un ordine condiviso la stessa libertà si restringe alla singola individualità allontanandosi dallo spirito della nostra Costituzione. A quel punto l’intero sistema culturale, economico e sociale viene percepito come sempre più alienante in una logica dove le disuguaglianze si accentuano perché in assenza di un ordine riconosciuto a vincere sono sempre i più forti.

Nella società “liquida” di oggi la sinistra più di altri ha il compito storico di indicare e far vivere percorsi di ricostruzione di legami sociali e di solidarietà.

È un compito che la sinistra conosce bene perché storicamente lo ha saputo svolgere nei confronti del mondo del lavoro, dei saperi, dei giovani, delle donne. Ma è stata proprio la tendenza a disgregare e rendere sempre più isolate le persone a indebolire la sua capacità di rappresentare le diversità territoriali e parti intere di società orfane di diritti, redditi e opportunità

Nella società “liquida” di oggi la sinistra più di altri ha il compito storico di indicare e far vivere percorsi di ricostruzione di legami sociali e di solidarietà.

Le scorciatoie di populismi e nazionalismi hanno cavalcato quell’individualismo sfruttando rabbia e rancore dei tanti consegnati a una condizione di precarietà e solitudine.

Sta al nuovo PD ritrovare parole, contenuti, reputazione e orgoglio per convincere che un’Alternativa è possibile.

Per tutto questo serve un partito consapevole che nel nuovo mondo l’idea stessa di progresso dipende da quello che scegliamo di essere. La sintesi è un ciclo storico, il prossimo, dove passeremo da un progresso necessario a uno sviluppo sostenibile solo se fondato sulla volontà degli individui. Sul loro sentirsi partecipi. Perché poi donne, giovani, chi lavora o un lavoro lo cerca, non basta ascoltarli. Bisogna tenere conto di quanto pensano, chiedono, desiderano, propongono.

La forza di partiti e movimenti è sempre cresciuta così, quando hanno introdotto spinte e conflitti positivi, capaci di imprimere alle istituzioni il timbro delle riforme.

Queste sono alcune scelte da compiere affinché il nome che ci siamo dati – Partito Democratico – corrisponda a ciò che siamo e saremo.

  • Il Partito Democratico deve cambiare molto nel suo modo di discutere, coinvolgere gli iscritti, assumere le decisioni, formare e selezionare la classe dirigente. Ma non può e non deve cambiare la sua natura, quell’incontro e ricerca condivisa tra culture e tradizioni diverse. Se uno o più degli affluenti originari dovessero non sentirsi rappresentati dentro il percorso intrapreso, semplicemente il Partito Democratico cesserebbe di esistere e ad affermarsi sarebbe un altro disegno.
  • Memoria e innovazione fondano la natura del Partito Democratico anche per contrastare il governo più a destra della storia repubblicana e predisporre un’alternativa vincente per quando si tornerà al voto. Un Partito Democratico capace di smuovere coscienze, mobilitare, entusiasmare, deve riscoprire il senso, l’utopia, della sua missione nella storia futura del Paese. Avere la capacità di parlare a tutti indicando la parte della società che ci si candida a promuovere, emancipare dai bisogni e rappresentare in un disegno rinnovato di unità del Paese: tra Nord e Sud, tra i generi e le generazioni. Da troppi anni non parliamo più di questo e così anche il fare e le buone pratiche non si sono armonizzate in una canzone comune. Ma mentre noi pensavamo che la modernità si fosse liberata finalmente dalle ideologie, la destra sovranista ne attrezzava una potente che ha reclutato consensi e poteri sino a incrinare l’unità dell’Europa dall’interno e la tenuta delle democrazie. Il nuovo partito dovrà reagire a tutto questo non solo riaffermando la sua identità, ma con un pensiero condiviso sul futuro dell’UE e del mondo.
  • Riuscirci implica recuperare la credibilità, la reputazione, che si è perduta a causa dei troppi compromessi nei quindici anni di vita che abbiamo alle spalle. L’essere vissuti come un ceto politico rinchiuso a difesa dei propri privilegi è di per sé un limite grave, oggi accentuato dal ritorno prepotente di una questione morale mai archiviata. La strada da imboccare è un partito dove gli iscritti contano e concordano regole,partecipano alla formazione di una cultura e identità condivise con soluzioni coraggiose, anche eretiche, per collocare giustizia, uguaglianza, libertà, nel tempo dove andremo a vivere. Iscritti che scelgono e promuovono gruppi dirigenti che rispondono a quella comunità. Iscritti che non dovranno più “assistere” senza voce a scelte strategiche come nel caso della nascita del governo con il Movimento 5 Stelle nell’estate del 2019. In futuro su decisioni di quella portata si dovranno utilizzare gli strumenti oggi disponibili per una consultazione ampia tra gli iscritti.
  • Va cambiato molto nella vita democratica interna. Sinora il Pd non ha mai avuto un segretario o segretaria che si sia dedicato unicamente alla costruzione e radicamento del partito. Tutti hanno ricoperto quell’incarico sotto l’urto di emergenze e della spinta all’immediatezza di nuovi governi. Il punto è che senza costruire un partito del centrosinistra consolidato sul territorio qualunque soluzione al vertice non potrà colmare il vuoto di passione e senso di appartenenza cresciuto in questi anni. Anche per questo è giusto porre fine a doppi e tripli incarichi. Si fa un mestiere alla volta. Dirigere il partito (da un circolo alla segreteria nazionale) non deve essere l’autobus per andare altrove. Guidare questa comunità a tutti i livelli è un impegno che esige rispetto e va riconosciuto.
  • Non vogliamo un partito “istituzionale”, ma “costituzionale” dove chi si impegna fuori dalle istituzioni non venga considerato di meno, casomai di più. Crediamo sia un riconoscimento del valore degli iscritti pensare che siano loro ad avere la voce decisiva nella scelta del segretario o della segretaria e che primarie larghe e aperte siano un dovere per l’intero centrosinistra quando si tratterà di indicare la candidatura a premier. Quanto più il PD si farà carico di un proprio profilo, di una propria identità tanto più sarà il pilastro decisivo di un’alleanza del centrosinistra per l’Alternativa, rinnovando così un’ambizione maggioritaria. Sappiamo che è un tema discusso ma sull’intera riforma del partito, dello Statuto e del rispetto delle regole, compreso il principio paritario, proponiamo una specifica Conferenza nazionale a conclusione della stagione costituente che richiederà tempi di partecipazione e l’immersione in quella opposizione che deve vederci protagonisti.
  • Troppe volte la denuncia del correntismo è servita a generare nuove correnti. Nessuno è stato estraneo a questa logica, compresi quanti negano di averne fatto parte. Il nostro è un partito plurale. Il tema è come mescolare, intrecciare, punti di vista e convinzioni. L’unità non nasce dall’invocazione del leader di turno salvo poi in stanze riservate sommare rapporti di forza statici e potentati intoccabili. L’unità non si afferma con la pratica e il premio al trasformismo. L’unità è limpidezza delle posizioni, l’ascolto del senso critico, la fatica della sintesi e la consapevolezza che dall’altra e dall’altro si può sempre imparare. Anche per questo abbiamo deciso la strada più difficile per essere nel congresso con l’umiltà e l’orgoglio delle nostre idee.
  • Per difendere la nostra democrazia è necessario renderla autonoma dal dominio economico e dal potere dei media. La strada è ricostruire un protagonismo virtuoso dei partiti, soggetti capaci di rendere effettiva la partecipazione di tutti i cittadini “all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. La concentrazione del potere e la mortificazione dei corpi intermedi non aumentano l’efficienza delle istituzioni, concorrono soltanto ad aumentare diseguaglianze e divisioni. Quando i partiti perdono radicamento le istituzioni sono più deboli nell’indirizzare l’attività economica a fini sociali (articolo 41 della Costituzione). Le scorciatoie plebiscitarie si sono mostrate incapaci di conferire alle istituzioni la forza e legittimazione per mantenere le promesse dell’eguaglianza e della crescita che non deve escludere nessuno dal diritto a un’esistenza libera e dignitosa.
  • Bisogna bloccare quanto è in atto da tempo: il ritorno a un accesso patrimoniale alle cariche elettive. Avere soppresso ogni forma di finanziamento pubblico alla politica ha generato un modello di partecipazione filtrato dalla disponibilità economica in capo agli eletti. L’esito è un sistema dove la fedeltà al leader o notabile prevale sul merito e sulla possibilità di avere una rappresentanza che rispecchi la società. Oggi un operaio, un lavoratore precario, una giovane disoccupata o un pensionato non hanno praticamente alcuna chance di portare la loro voce in un consiglio regionale, nel parlamento italiano o a Bruxelles. La sconfitta del centrosinistra e il suo divorzio da pezzi interi del paese vengono anche da qui e da qui bisogna ripartire. Serve una nuova legge sul finanziamento pubblico e trasparente delle forze politiche. Una disciplina rigorosa mutuata da paesi che non hanno mai smesso di prevederla sotto vincoli di vigilanza e controllo. Insieme a una legge di attuazione dell’articolo 49 della Costituzione per partiti trasparenti e democratici anche al proprio interno rinnovando in questo la lezione di Enrico Berlinguer. Insomma deve insegnarci qualcosa se anche le ragazze e i ragazzi di ora spesso i loro miti politici li cercano e trovano in tempi lontani, come nel caso di Moro e Zaccagnini o Nilde Iotti e Tina Anselmi o Don Milani, oppure in spazi e luoghi diversi dalla politica, dalle tavole di Zerocalcare all’antimafia di Pif o nel ricordo di Antonio Megalizzi, Mahsa Amini e Giulio Regeni.
  • La selezione delle candidature per ogni livello istituzionale deve passare dalla consultazione degli iscritti. Per la composizione delle liste per il parlamento nazionale ed europeo va riservata alla direzione politica una quota limitata di candidature a garanzia di un equilibrio di profili, generi e competenze valorizzata dal superamento della logica delle liste bloccate (con la reintroduzione del voto di preferenza o con un sistema proporzionale a collegi uninominali).
  • Avere schiacciato sino a identificarlo il partito sulle istituzioni è stato un errore. Non solo perché negli anni ha alimentato l’idea di un ceto politico preoccupato del proprio destino personale. Il problema è stata la perdita del significato stesso del “fare politica” e del “fare democrazia”. Si è pensato che a colmare quel vuoto bastasse presentarsi con un buon programma di governo. Ma delega e rappresentanza, per quanto importanti, non assorbono, tanto meno annullano la cittadinanza. La buona politica è chiedere alle persone cosa possono e vogliono fare per cambiare la distribuzione diseguale del potere e del benessere nella società. È quel protagonismo che da singolare sa divenire collettivo ad avere la forza per combattere le forme di individualismo e la rottura dei vincoli solidali di una comunità. Oggi la nostra forma partito nega spesso l’agibilità politica a chi non è nominato o eletto in una istituzione. Per la sinistra è una colpa. Il nuovo Pd deve ricucire la rete di legami, ascolto e coinvolgimento di forze e persone che operano e si spendono fuori da lì. È compito del nuovo Partito Democratico
  • far rivivere i momenti decentrati di partecipazione dei cittadini nei quartieri e nei territori che sono stati cancellati in questi anni. Costruire un partito digitale è un programma di lavoro su cui impegnarsi e da svolgere che non si risolve con un semplice tweet. Riconoscere l’autonomia delle democratiche e dei GD richiede delegare per davvero a loro spazi, risorse e poteri di scelta nelle politiche e nella rappresentanza nelle istituzioni e nella selezione effettiva delle classi dirigenti.
  • Crediamo in un partito che prefiguri la società che vuole costruire, una comunità di donne e uomini liberi che in quanto tale sia una pratica permanente della democrazia, di quella straordinaria forma di coinvolgimento e partecipazione che rende la vita l’open source delle intelligenze di tutti i viventi. Non esiste la libertà individuale dove non si pratichi una democrazia sostanziale e concreta. Questa è la chiave che deve ispirare il nuovo PD: un sistema di relazione e non di subordinazione, in cui costantemente base e vertici momentanei producono saperi e intelligenza grazie alle esperienze di interventi e conflitti sociali tesi a rendere più condiviso e trasparente il nostro paese. In questa logica dobbiamo apprendere da quanto ci accade attorno: la crescita di smisurati potentati tecnologici, che rovesciando la naturale logica di quelle nuove straordinarie opportunità, anziché decentrare concentrano la potestà di indirizzare e predeterminare i comportamenti. Il nuovo PD deve essere un sistema sociale moderno che promuove e pratica le nuove relazioni digitali per produrre più potenza della partecipazione e meno attrito della burocrazia.
  • Il Partito Democratico deve valorizzare l’autonomia politica delle sue organizzazioni regionali e dei circoli nello spirito della coesione e unità solidale del paese. Il lavoro tematico deve coordinarsi tra centro e territori usando gli strumenti aggiornati della rete e mettendo amministratori, dirigenti locali e nazionali, parlamentari nella condizione di collaborare strettamente e con assoluta continuità.